La Thailandia non è solo un paese con spiagge da cartolina, è anche un paese in cui la donna viene discriminata in quanto considerata inferiore all’uomo e dove i dati sulla prostituzione (minorile e non) sono davvero agghiaccianti.
Se parliamo di Thailandia probabilmente la prima cosa che viene in mente sono le spiagge da cartolina, la seconda il famosissimo mercato domenicale di Bangkok ma la terza sarà sicuramente il turismo sessuale.
Secondo le statistiche del Ministero della Salute Pubblica thailandese il 75% degli uomini va a prostitute e il 45% dei ragazzi maschi ha avuto il primo rapporto sessuale con una prostituta. Con questi dati è facile intuire come la Thailandia sia una tra le prime mete mondiali del turismo sessuale, un’industria che ruota attorno agli interessi di uomini locali.
A questo punto c’è da sfatare un luogo comune: non tutte le donne thailandesi sono prostitute, anzi, si stima che il numero di prostitute sia attorno alle 300.000 (dato approssimativo) mentre le donne che conducono una vita normale sono circa 40.000.000. Nonostante questo, una peculiarità di questa cultura, è che le ragazze che vendono il loro corpo non sono assolutamente discriminate, anzi, la prostituzione in questo paese è considerata un mestiere come un altro. Chiaro che però le donne non scelgono questa professione se non costrette a causa della povertà delle zone rurali e la mancanza di qualifiche nelle zone urbane.
Un primo incremento della prostituzione in questo paese di ebbe negli anni ’60 con la massiccia presenza militare americana nel sud est asiatico, in particolare, appunto, in Thailandia. Dopo pochi mesi dall’installazione delle basi USA, si ebbe una crescita vertiginosa della prostituzione. I governi locali appoggiarono il fenomeno, lo incentivarono e non fecero nulla neanche davanti ad evidenti casi di violenza e maltrattamento. Nel 1950 in Thailandia c’era circa 20.000 prostitute dopo poco l’arrivo dei militari americani se ne poterono contare più di 400.000 soltanto a Bangkok.
Purtroppo però il turismo sessuale colpisce anche i bambini, vittime di uno sfruttamento che spazia dalla pornografia alla prostituzione, passando attraverso la tratta e i matrimoni precoci. Le vittime sono soprattutto bambine con un’età compresa tra i 13 e i 17 anni. Solo per darvi un’idea di quanto sia radicato e redditizio, il turismo sessuale in questo paese ha ridotto il tasso di povertà dal 21% all’8%. L’incremento di questo fenomeno ha fatto si che l’industria dello sfruttamento sessuale ha moltiplicato l’offerta e quindi importa ragazzini e ragazzine dai paesi vicini: dalla Cina, dal Laos e dalla Cambogia. Nella maggior parte dei casi è un servizio direttamente offerto dagli hotel o dai ristoranti. I dati esatti della prostituzione minorile in Thailandia non sono noti in quanto troviamo numeri discordanti: secondo il governo si stima che ci siano tra le 30.000 e le 40.000 prostitute sotto i 18 anni, secondo l’Istituto del Sistema di Ricerca delle Salute invece il 40% della prostituzione è composta da bambine ed infine il “Project Protection” stima che il numero di bambini coinvolti in questa tratta vada dai 12.000 alle centinaia di migliaia.
Ma sebbene la prostituzione sia un gravissimo problema che affligge le donne thailandesi, purtroppo anche la vita di quelle che non vivono e guadagnano in strada non è senza difficoltà.
Un detto thailandesi recita: “Gli uomini sono le gambe davanti degli elefanti mentre le donne sono quelle di dietro“. Solo questa semplice frase fa capire come una delle sfide che le donne devono affrontare sia la dominazione maschile e la condizione di costante inferiorità.
La nascita di un figlio maschio sarà considerata più importante di quella di una femmina.
Anche l’interpretazione thailandese del buddismo descrive la donna come appartenente ad un ceto inferiore e quindi sottomessa all’uomo.
La violenza domestica ai danni della donna è all’ordine del giorno, da uno studio condotto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità risulta che una porzione dal 15% al 71% delle donne ha subito abusi fisici o sessuali da parte dei propri partner (dati che variano molto da un centro città, a una periferia, a una zona rurale).
Anche le leggi che sono in vigore in Thailandia non aiutano la donna (sebbene la Costituzione preveda l’uguaglianza tra i sessi). Infatti le donne non hanno pari diritti sul divorzio, gli uomini hanno il permesso legale di trattenere le loro mogli con la forza e le donne non hanno voce in capitolo quando si tratta di decidere il destino del nascituro. Anche a livello lavorativo la donna è discriminata, basti pensare che tendenzialmente lavora 13 ore settimanali in più rispetto al collega maschio e che il più delle volte è sottopagata.
Un ulteriore problema è l’AIDS che è la prima causa di morte in Thailandia. Spesso sono i mariti, assidui frequentatori di prostitute, che infettano la moglie e i figli: circa il 70% delle donne infette sono casalinghe alle quali il consorte ha trasmesso il virus.